Storie di quarantena #3
a cura di Enza Carotenuto
Se qualche mese fa qualcuno mi avesse parlato di quarantena, probabilmente mi avrebbe rievocato alla memoria i capitoli di storia dei tempi del liceo o meglio ancora, i discorsi fatti dai miei nonni che erano soliti usare questo termine anche nelle conversazioni più banali magari ironizzando, perché la quarantena apparteneva alla loro epoca, la conoscevano bene, era una cosa dei “tempi loro”.
Non mi colpivano affatto quelle affermazioni e non riuscivo a comprendere davvero il senso di quei riferimenti. Non c’era gran che da capire, a me non sarebbe successo, perché succedeva ai tempi loro e invece il tempo mio era diverso.
Oggi, sono arrivati i giorni della quarantena del tempo mio.
Giorni di misure contenitive, di divieti, di distanze di sicurezza, di uscite sole per casi di necessità, di lontananze forzate dai propri cari, dai propri amici dai posti del cuore.
Giorni del “tutto si ferma” e del restiamo tutti a casa perché insieme possiamo uscirne. Giorni in cui godere pienamente del nostro tempo, inteso non come tempo sprecato, ma tempo per viverci le nostre piccole ricchezze come se fosse una scelta solo nostra, come tempo di guarigione, tempo di solitudine, ma non di abbandono perché siamo sempre sintonizzati e seppure stiamo a distanza e non ci abbracciamo attraverso le chat, le foto e le continue videochiamate si capisce che non è tempo perso ma che ci pensiamo moltissimo e vogliamo esserci ancora!
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